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Un dibattito oggi in essere, sia sul piano dottrinale e giurisprudenziale che sul piano sociale, riguarda la qualificazione e l’inquadramento degli appalti per la manutenzione dell’illuminazione pubblica, in bilico a volte tra due ipotesi concettuali contrastanti, da un lato quella dell’importanza e necessità del servizio (lux), dall’altra quella dello spreco e dell’inutilità di illuminare tanto o determinate zone (luxuria). Non a caso il dibattito parlamentare che ha introdotto nel nostro ordinamento la legge 109/94 si prefiggeva come scopo quello di dare una “risposta valida alle esigenze di moralizzazione che vengono dal Paese”. La legge 109/94, in effetti, venne pensata con l’intento di eliminare le distorsioni allora presenti nel sistema degli appalti pubblici. Da qui l’interrogativo di cui in epigrafe: agli appalti per la manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica devesi applicare la normativa pensata e prodotta per i servizi (D.Lgs. 157/95), quale è appunto quello dell’illuminazione, ovvero quella pensata e prodotta per porre rimedio alla corruttela nei lavori pubblici (L. 109/94)?

Lux aut luxuria?