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Le caratteristiche dell’imitazione c.d. “servile”, rilevanti ai fini del riconoscimento di ipotesi di concorrenza sleale, si possono ricavare dai principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione con decisione n. 28215 del 26 novembre 2008. Il dato normativo è costituito dalla disciplinata di cui al Titolo X, Sezione II, del Libro V del Codice Civile, che all’articolo 2598 recita: “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi [2563 ss., 2569 ss.] e dei diritti di brevetto [2584 ss.], compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda [1175].
La norma, a semplice sua lettura, evidenzia riferirsi esclusivamente alla violazione di regole di condotta extracontrattuale da cui esulano quelle correlate a specifiche convenzioni.

Concorrenza sleale